Quanto l’alternarsi di momenti belli e brutti ci porta fuori dal baricentro.
Fungendo da fuoco da ardere, l’ebrezza di una vittoria e di una bella prestazione, apre le più belle aspettative, pensiamo così di avere la miglior legna da ardere tra le mani e andiamo a comprare i migliori fiammiferi sul mercato. Il nostro atteggiamento ne risente, la fiamma eccitata alimenta le persone attorno, le incitiamo, siamo sorridenti, propositivi e leggeri. La testa è alta, fiera di quanto fatto, le negatività extra basket vengono dimenticate, il futuro è roseo non c’è nulla di cui preoccuparsi. Allenarsi diventa facile, perché quanto fatto ha dato i suoi risultati. Gli occhi perdono lucidità creando alcune zone d’ombra, nascondendo i problemi. Il periodo da presunto Faggio (la miglior legna da ardere) è entusiasmante, ma ci estromette dal mondo, ci innalza a dio sulla nuvoletta dell’olimpo. Ci crediamo così forti che pensiamo di poter lanciare saette sugli altri dall’alto della nostra prestazione. Perdiamo contatto con qualsiasi concreto obbiettivo, perché quello che facciamo funziona, e va bene così. Pensiamo agli altri che commentano la nostra prestazione costruendo santini al nostro altare, alla Maradona. Sappiamo che il pubblico, dopo la partita, nelle piazze della città si riunirà in gruppetti per elogiare le nostre gesta, come con Achille nelle agorà dell’antica Grecia.
La società è sicuramente contenta, e vuole prolungarci il contratto, anche i genitori sono fieri di noi.
Crediamo di poter spendere di più perché è come se avessimo allungato la nostra carriera.
D’altronde quello che siamo è quello che dobbiamo essere e nulla in noi va cambiato. Ci crogioliamo sui famosi allori, che però non sono fatti d’oro.
La troppa eccitazione e superbia per una prestazione personale non è da Faggi, ma solo da Fico, un legno che non va bruciato perché tossico. Un detto dice: “Se vuoi cacciare un amico, fai il fuoco con legna di fico”. Se non vogliamo intossicarci la vita rimaniamo umili e dopo le grandi prestazione non andiamo troppo in alto con la mente, ma continuiamo a spingere, per confermarci a quei livelli.
La delusione per una brutta prestazione o per un momento personale negativo apre le porte ai gironi più profondi dell’inferno di Dante. L’autoflagellazione ad alleviare le sofferenze dell’anima e la ricerca di alibi diventa l’unica arma di sopravvivenza possibile. Tutto è scuro, così come il cielo in questa giornata uggiosa, la nuvola colma d’acqua mi segue manco fossi Fantozzi, i passi sono pesanti, perché possono essere gli ultimi, ma ogni istante è un film che si ripete, di errori commessi e scene di debolezza. Nell’agorà gli anziani sembrano bisbigliare una congiura nei miei confronti. La gente costruisce bambole Vudù per farci soffrire. I leoni mangiano il loro cibi quotidiano sulle loro tastiere. La rabbia si alterna alla tristezza, dando alla brutta prestazione varie sfumature di grigio. La produttività crolla, così come la voglia di fare, il futuro infatti è drammatico e non c’è nulla di divertente in questo. Allenarsi diventa difficile, perché quanto i risultati non arrivano, gli occhi perdono lucidità creando zone d’ombra, nascondendo il positivo che potrebbe esserci. È deprimente, sapere che il modo in cui sei andato alla ricerca di un risultato, non è quello giusto, anzi è stato la causa. Compagni e allenatori diventano nemici, perché non trovando risposte dentro, le si trovano fuori, dando la colpa agli altri. Quegli altri sono i colpevoli del fallimento. L’invidia pervade ogni cellula del corpo, fino a quanto subentra l’apatia, che come un verme, solitaria, inizia a divorare dall’interno. Ed anche se la pallacanestro è uno sport di squadra, ognuno cavalca la propria insignificante vita, che nei momenti più bui, ci fa sentire soli, maledettamente soli. Senza una ragazza al proprio fianco, una famiglia, amici, fiducia in sé stessi, soldi in tasca, trofei in bacheca, un futuro, la delusione nega l’esistenza di un antico paradiso, forse non sono mai stato bene, ma era solo un inverno particolarmente caldo. Quanto è difficile risalire dopo essersi scavato una fossa da soli dando la colpa agli altri, coprendo la tomba con l’onesta consapevolezza delle proprie debolezze. Non c’è luce, quaggiù. Non bisogna mai arrivarci, quaggiù. Bisogna aggrapparsi mentre si sta cadendo, lottare, per non cadere troppo in basso.
Perché per quanto tempestoso e difficile possa essere un momento della nostra vita, il sole è lì, e con un po’ di coraggio, lo si può vedere, oltre le nuvole.
Siamo carne, passione e sentimenti, io personalmente vivo con grande impatto emotivo il campo da gioco e la vita in generale, anche se spesso le delusioni hanno costruito piccoli momenti di apatia. Retaggi del passato e condizioni del presente modellano i miei sentimenti e le mie prestazioni, convinto e consapevole, poi rinunciatario e confuso. I miei pregi e difetti hanno condizionato la mia carriera, che avrebbe potuto essere ancora migliore, rispetto a quella, di cui vado molto orgoglioso, che sto vivendo. Ho avuto difficoltà nel lasciarmi andare a quel sano egoismo che mi avrebbe fatto essere più sicuro di me nel momento di fare un canestro. Influenzato, dal troppo pensare alle conseguenze delle mie gesta, alla paura dell’errore, all’etica del passaggio in più per un compagno. Ho sempre sofferto l’egoismo altrui, a tal punto da utilizzarlo come scusa per giustificare le mie mancanze. Non riesco ad essere spensierato, non è vero che non ci sono conseguenze per le mie azioni. Il mio modo di vivere il campo da gioco mi ha portato negli anni a diventare uno dei migliori difensori del campionato (never too high), ma un mediocre giocatore offensivo (never too low). I compagni di squadra nel mio ruolo giocano, con me, le loro migliori annate, e di questo voglio prendermi alcuni meriti. L’altruismo offensivo e le mie insicurezze generano più tiri per loro, il mio modo di difendere ed allenarmi li aiuta ad affrontare al meglio la domenica, quando di fronte avranno un avversario meno difficile da battere. Il problema è che questo mio atteggiamento, causato da me, aiutato da chi ho incontrato, ha portato gli altri a livelli superiori di contratti e carriera, lasciandomi a combattere contro i mulini a vento, cercando di migliorare il mondo delle persone per crescere io, come uomo, ma dimenticando che, se voglio continuare a fare quello che faccio, devo, superare i limiti imposti dal passato nel giorno partita e nella vita. Se riuscissi a fare qualche canestro in più sarebbe tutto molto più simpatico. Sull’etica del lavoro posso fare sicuramente meglio, ma non ho troppo da lamentarmi, a parte alcuni passi a vuoto, do sempre il cento per cento, in ogni cosa che faccio in mezzo al campo e fuori dal campo, per aiutare me ed i compagni, forse è il come, che non è giusto, ma non posso essere io a giudicarmi su questo, io do tutto. Secondo me tutto dipende perciò dalla mia mente, dall’equilibrio che darò alle mie convinzioni, dai mutamenti che riuscirò ad avere verso il mio egoismo, da quanto ordine riuscirò a dare a questo tumulto di mediocri pensieri. Grazie alla mia mentalità vincente sono arrivato fino a qua, perché più forte ti testa di altri, più altruista di altri, più lottatore di altri, più difensore di altri, più collante di altri, ma ora non basta affinare ciò che già so, non bastano grandi prestazioni difensive, giocate decisive, aiutare i compagni a crescere ed essere il capitano della squadra, devo volere dalla mia mente qualcosa in più.
Non condivido l’etica dell’Hakuna Matata del Re Leone, io voglio averli i pensieri, voglio andare ogni giorno più a fondo, ma forse la prossima volta che mi arriva una palla in attacco devo essere più leggero, senza pensieri… E se dovessi segnare? Never too high. E se dovessi sbagliare? Never too low.